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Dal caos di Kathmandu alla quiete dell’Himalaya

23/07/2025

Un viaggio tra volontariato, permacultura e incontri trasformativi nel cuore del Nepal

Cosa spinge uno studente universitario a lasciare tutto e partire per un villaggio sperduto sull’Himalaya, zappa alla mano? In questa testimonianza, Filippo racconta la sua esperienza in un campo di volontariato in Nepal: dalla scelta del progetto sul sito di Lunaria alla vita quotidiana tra piogge monsoniche, calli sulle mani, roti speziati e serate di condivisione con volontari locali e internazionali.
Un viaggio autentico e intenso che mostra cosa significa davvero uscire dalla propria comfort zone e tornare a casa con molto più di una semplice vacanza nello zaino.

In questo articolo vi lasciamo qualche estratto ma anche la versione completa qui!

La testimonianza di Filippo

La ricerca del campo

Qualche mese fa, nel pieno del mio semestre universitario, stavo pensando a come sfruttare una delle ultime estati da studente a mia disposizione facendo qualcosa di diverso dalla classica vacanza in Puglia. Volevo partire, andare lontano, fare qualcosa di costruttivo per me e, possibilmente, per gli altri immergendomi in un’altra realtà, con un’altra cultura da cui avrei potuto portare a casa di più rispetto alle solite serate estive in discoteca. Era da un paio d’anni che mettevo i soldi da parte per un viaggio del genere. Ho così pensato di fare un giro sul sito di Lunaria, con cui avevo già partecipato, negli anni del liceo, ad iniziative di volontariato e scambio culturale nel Nord Europa. Scrollando il sito, la mia attenzione è caduta su un progetto in Nepal incentrato sulla permacultura, un modello di agricoltura sostenibile basato su un approccio che prende spunto da modelli naturali per portare particolari benefici soprattutto in aree agricole con varie criticità e limitato accesso alla tecnologia.

L’arrivo in città

Nabaraj, il gestore dell’ostello nel quartier generale di VIN, mi fa salire in macchina e sono subito confuso: appena entrato, mi trovo il volante davanti alla faccia e i pedali tra i piedi; realizzo che in Nepal si guida sulla sinistra, non lo sapevo. Comunque, ci facciamo una risata, ci scambiamo di posto e ripartiamo verso l’ostello, io che guardo tutto fuori dal finestrino con gli occhi di un bambino in un parco divertimenti.

Kathmandu

Kathmandu è, per me e per i miei due nuovi amici, la perfetta introduzione al Nepal, un tuffo in qualcosa di totalmente diverso da ciò a cui eravamo abituati, un impatto brusco ma, personalmente, piacevole e stimolante.

L’arrivo al campo

I giorni nella capitale sono talmente intensi che volano via in men che non si dica e così una mattina, all’alba, lasciamo la caotica città e raggiungiamo finalmente Nishankhe, il minuscolo villaggio nella località di Okhaldhunga dove svolgeremo la nostra attività di volontariato. Il trio di Kathmandu si è separato e il viaggio in fuoristrada è stato faticoso, ma almeno ho avuto l’occasione di godermi dei panorami assurdi. Il contrasto con la metropoli è impressionante: qui regnano pace e tranquillità, i rumori più distinguibili sono prodotti da poche persone che chiacchierano in lontananza e qualche animale da allevamento, polli e bufali su tutti. L’aria è più limpida e fresca, davanti a noi un paesaggio fatto di colline rigogliose, dietro le quali si eleva l’Himalaya, in questo periodo purtroppo, quasi perennemente coperta e nascosta dalle nuvole.

Il lavoro

Ogni giorno imparo meglio a orientarmi tra la strada e le scorciatoie, sento meno la fatica e arrivo anche ad apprezzarla, a convivere quasi piacevolmente con la sensazione dei vestiti intrisi di sudore sulla pelle. Le vesciche sulle mani dei primi giorni diventano subito calli. Tutto questo perché ogni giorno, insieme a Utsav e gli altri volontari, non solo lavoriamo, ma chiacchieriamo, ascoltiamo musica, balliamo e ci divertiamo. Sono proprio questo spirito positivo, questa voglia di imparare e mettersi alla prova e la connessione instaurata con gli altri volontari che mi portano, nel giro di pochissimi giorni, a un’evoluzione sorprendente della mia persona e della mia tenuta fisica. Sono contento di essere qua e sono contento di fare quello che sto facendo, questo è quello che conta.

Il lavoro consiste nello scavare un letto di semina dove in futuro saranno piantati vari ortaggi per la comunità circostante. Il risultato atteso è un fosso a sezione rettangolare, lungo circa dieci metri, largo uno e profondo più o meno 70 centimetri. Ogni giorno siamo in media quattro o cinque volontari a lavorare al letto di semina, e l’attrezzatura a disposizione consiste in zappe e badili. Il lavoro è reso più complicato dal clima: siamo nel periodo dei monsoni e quasi ogni notte piove, rendendo la terra da scavare molto più pesante e compatta, soprattutto nelle prime ore di lavoro.

La vita quotidiana

Ogni giorno colazione, pranzo e cena sono preparati da Didi, una giovane donna dolcissima che al NaraTika si occupa di varie mansioni tra cui, appunto, la cucina. Per il pranzo bisogna consegnarle al mattino la lunch box che riempirà fino all’orlo di noodles, stufati o zuppe, spesso accompagnate dal famoso roti, mentre gli altri due pasti si effettuano al tavolo della cucina servendosi autonomamente da contenitori contenenti un’abbondantissima quantità di varie pietanze. Il cibo di Didi non è molto vario, ma sempre estremamente saporito: oltre alla base di riso bianco e zuppa di lenticchie, presente sempre e comunque, ci sono spesso verdure e patate cucinate in modi diversi, spesso saltate con vari aromi (le mie preferite) o fritte.

I momenti di condivisione

La cena, in particolare, è un piacevole momento di condivisione, durante il quale si chiacchiera anche con volontari locali che svolgono mansioni diverse e quindi non passano il resto della giornata con noi. È durante la cena e nei momenti successivi, in cui ci si rilassa sui divani del salotto, che si condividono racconti sulla giornata appena passata e sulle proprie vite, si socializza, si scherza e ci si conosce, si mostrano foto e video agli altri. Anche gli argomenti più frivoli, i dettagli apparentemente più insignificanti rappresentano, durante questi momenti, un’interessante occasione per imparare qualcosa sulla natura umana vista attraverso i filtri di altre culture e diversi modelli di vita, che è sempre l’aspetto più stimolante di queste esperienze.

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