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Il razzismo giorno per giorno

07/04/2011

“Non ce li possiamo permettere”, “io non sono razzista, ma sono troppi”, “il Governo spende molti più soldi per loro che per noi”, “dobbiamo pensare prima a noi”. Tra gennaio e marzo Lunaria ha lavorato in 10 classi delle scuole medie superiori del VI Municipio di Roma, una delle zone popolari della capitale in cui risiedono molti cittadini stranieri, proponendo dei laboratori sul razzismo. Ragazzi di età compresa tra i 14 e i 16 anni di un liceo scientifico e di due istituti professionali. Appartenenze sociali e culturali molto diverse tra loro; tutti (tranne pochissime eccezioni) certi di non essere razzisti, pronti a riconoscere e a rifiutare i processi e i meccanismi di stigmatizzazione che di pregiudizi e stereotipi sono il fondamento e altrettanto sicuri che i casi di razzismo quotidiano che abbiamo insieme analizzato siano dei casi “isolati” da condannare.

Dunque tutto bene? E invece no.

La morte dei quattro bambini nel campo rom di Tor Fiscale e gli arrivi dei migranti tunisini hanno fatto da sfondo a questo lavoro.

Gli stereotipi sono facilmente rifiutati e riconosciuti quando colpiscono “noi” ma quando l’analisi del razzismo e dell’immigrazione si incontrano il discorso cambia: i pregiudizi rispuntano e vengono alla luce del sole. Se 4 bimbi rom muoiono in una baracca è anche “colpa loro perché non vogliono integrarsi e preferiscono vivere in quel modo”. Sulle nostre coste arrivano invece “i clandestini” che, “è un dato di fatto, delinquono più degli italiani”. L’attualità, quella che conquista le prime pagine dei quotidiani, che è al centro delle dichiarazioni pubbliche, che inevitabilmente anima i viaggi in tram o in autobus, passa attraverso il filtro della rappresentazione e si distorce. Gli esseri umani che quelle morti hanno subito e che gli sbarchi di queste settimane portano sulle nostre sponde scompaiono, si dissolvono: le foto, i video, i titoli che rinviano a un’emergenza drammatica e “mai vista nella storia” cancellano volti, storie, percorsi e progetti di vita. Le persone non esistono più sostituite da “orde, fiumi, invasioni”.

A seguito delle tragedie che colpiscono migranti e rom, il dolore, il rammarico e l’indignazione seguono inevitabili e sono condivisi da molti, siamo sicuri, da una grandissima parte di cittadini italiani. Spesso però sono accompagnati da dei ma, da alcune puntualizzazioni che contribuiscono a smussare, a ridurre, a relativizzare la gravità di ciò che succede, a rendere le vittime di queste tragedie invisibili.

Se fossimo entrati in classe dopo il 6 aprile, avremmo trovato sicuramente commozione e turbamento per la morte dei 250 migranti annegati nel Mediterraneo. Ma, probabilmente, non sarebbero bastati a scalfire la convinzione, molto diffusa tra i ragazzi che abbiamo incontrato, secondo la quale l’Italia non può permettersi di accogliere “l’esodo biblico” di cui ha parlato il nostro ministro dell’interno. Da qui concludere che bloccare gli arrivi è giusto e che è necessario rinviarli a casa, costi quello che costi in termini di risorse, ma anche di vite umane, il passo è breve.

Gli allarmi, la consapevole e disastrosa mancanza di gestione della situazione lampedusana, la altrettanto meditata e inqualificabile scelta di concentrare centinaia di migranti in tendopoli o strutture improvvisate in condizioni igienico-sanitarie indecenti, sono solo gli ultimi cinici e perversi esiti di politiche migratorie fondate sulla ormai più che ventennale demonizzazione dello straniero.

Così i 4,3 milioni di immigrati che vivono regolarmente nel nostro paese e che a questo sino ad oggi sono “costati” pochissimo diventano un “peso” non più sopportabile. In troppo pochi spiegano quanto sia estremamente costoso tentare di barricare le frontiere, costruire e gestire i Cie, eseguire i provvedimenti di espulsione, controllare le nostre coste. Ma soprattutto diminuisce sempre più chi non è disposto a sacrificare tra le palline di un pallottoliere la garanzia dei diritti umani fondamentali delle persone native e non, potenziali richiedenti asilo o “semplici” migranti.

Così come poco vengono raccontati i quotidiani casi di razzismo istituzionale che tentano sempre più spesso di escludere dall’accesso alle prestazioni sociali chi non ha la cittadinanza italiana o cercano di ostacolare la vita dei migranti in ogni modo: impedendo la costruzione di moschee, la vendita di kebab nei centri storici, la circolazione delle donne musulmane con il capo coperto oppure la partecipazione a un concorso pubblico per l’assunzione di ruoli e funzioni che nulla hanno a che vedere con la sicurezza dello Stato.

Se siamo arrivati al punto in cui siamo è anche perché abbiamo lasciato che la rimozione della realtà avesse la meglio, che la demagogia imperversasse, che i nostri piccoli egoismi individuali distruggessero gli elementari principi di solidarietà umana. Forse tornare a raccontare il razzismo giorno per giorno, a denunciarlo, a smascherarlo soprattutto tra i giovani, che molti coetanei provenienti da altrove hanno tra i loro banchi di scuola, può essere utile. Noi continueremo a farlo anche attraverso www.cronachediordinariorazzismo.org dove fatti quotidiani di discriminazione e razzismo istituzionale, politico, sociale e mediatico sono raccolti a partire dal 2007. Perché tutti possano ricordarli e raccontarli per cercare di impedire che continuino a diffondersi.

Cronachediordinariorazzismo.org è uno spazio pubblico aperto alla collaborazione di tutti: info@cronachediordinariorazzismo.org

07/04/2011

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