Nella mattina dello scorso 27 Ottobre, in occasione della costituzione della Rete Italiani Senza Cittadinanza in associazione, si è svolta una giornata di discussione, organizzata insieme a CILD, che ha messo al centro il tema della cittadinanza e cosa vuol dire essere cittadini.
Sono tante le realtà e le persone intervenute, portando vari punti di vista sui quattro temi su cui si sono incentrati i panel: scuola, cultura, cittadini attivi e lavoro.
L’inclusività che manca nella scuola
Lungi da essere luoghi di formazione orizzontale, in cui la narrativa perennemente perpetuata del «siamo tutti uguali» si concretizza nella realtà, le scuole sono i primi luoghi in cui si manifestano forme di discriminazione razzista istituzionale, che spesso mettono in risalto un approccio pedagogico ancora colonialista.
Dall’incontro è emerso come sia difficile per chi studia e non ha la cittadinanza avere un percorso accademico uguale ai compagni e le compagne di classe, partendo dalla difficoltà fino all’impossibilità di fare gite o scambi culturali. Situazione più critica è quella per gli studenti e le studentesse apolidi, come ha sottolineato Karen Ducusin dell’Unione Italiana Apolidi. Infatti, questi, non avendo alcuna cittadinanza, dunque nessun documento, possono frequentare la scuola in corrispondenza della cosiddetta scuola dell’obbligo, ma non conseguire la maturità o l’iscrizione all’Università.
Difficile è anche la condizione della componente studentesca non italofona, come ha messo in evidenza Cinzia Adanna Ebonine: spesso vengono classificati come titolari di Bisogni Educativi Speciali (BES) e sono seguiti con le stesse metodologie di chi ha la DSA. La patologizzazione del non sapere l’Italiano testimonia come ancora ci sia un approccio coloniale verso il background migratorio di giovani studenti e giovani studentesse, anziché un qualcosa da valorizzare. Per questo è fondamentale che ci sia maggior formazione sul tema da parte degli insegnanti e anche una maggior rappresentazione di persone di origine straniera nel corpo docente e tra le altre figure educative che attraversano la scuola.
L’importanza della rappresentazione nel mondo della cultura
Il tema della rappresentazione delle persone di origine straniera e razzializzate è stato al centro del secondo panel dedicato al mondo della cultura. Attraverso tre esperienze si evince come in Italia sia presente un vuoto narrativo ed è in quello spazio che si stanno inserendo le storie e le esperienze delle persone con background migratorio, esperienze da sempre presenti nella Storia Italiana, come il citato cortometraggio Il Moro, dimostra.
Attraverso le esperienze di Colory*, piattaforma web di divulgazione, del progetto Origines – con il prodotto audiovisivo del regista Amir Ra – e DiMMIi, Dimmi-International- Ithaca – che organizza anche un concorso letterario – si restituisce la voce sottratta a quelle persone escluse dall’immaginario collettivo, al fine di sbiancare una storia, che così bianca non è mai stata.
Tuttavia, non basta la cultura per cambiare un immaginario, non basta rappresentare le soggettività razzializzate per vedere un reale cambiamento sociale: è essenziale che questa rappresentazione assuma un significato politico spostandosi dai prodotti culturali alla stanza dei bottoni.
Dentro la stanza dei bottoni, la partecipazione politica
Erano presenti il consigliere comunale di Bologna Detjon Begaj, la consigliera comunale di Parma Victoria Oluboyo e la consigliera comunale di Brescia Raisa Labaran.
Uno dei temi principali usciti da tutti e tre gli interventi è come spesso la candidatura di persone razzializzate o di origine straniera, sia vista solo in ottica strumentale e svalutata, sia dagli alleati politici, che spesso tokenizzano – strumentalizzano appunto – la presenza di determinate soggettività per intercettare i voti delle comunità di origine straniera, sia dagli avversari politici che riassumono il lavoro politico della persona nel semplice voto cieco della comunità, come se anche la comunità stessa, solo perché di origine straniera, non fosse composta da vari orientamenti politici. E’ con ironia, infatti, che il consigliere bolognese sottolinea come molti della comunità albanese del capoluogo emiliano siano di estrema destra.
La legittimità politica e la sicurezza nell’attraversare questi spazi, ancora ostili per persone con background migratorio, si acquisiscono facendo rete: sia con le realtà associative, organizzative e politiche del territorio – che a conti fatti risulta la vera comunità di riferimento – che con le altre figure istituzionali presenti nelle amministrazioni italiane con un percorso simile. Solo così risulta più facile sfondare il soffitto di cristallo e normalizzare anche dal punto di vista istituzionale la presenza razzializzata di alcune soggettività e cambiare postura politica nella stanza dei bottoni.
Lavoro
Anche nel mondo del lavoro ritorna un po’ il tema del rapporto con le comunità di origine straniera a partire da un quesito: avere un background migratorio può essere considerato un vantaggio nel mondo del lavoro o è ancora un fattore discriminatorio? Se nel mondo della scuola il fattore discriminazione si ravvisa soprattutto nel modo in cui vengono trattati studenti e studentesse, anche nel mondo del lavoro avere un diverso retroterra culturale può essere un fattore di svantaggio. Il 75% degli imprenditori di origine straniera, secondo quanto ha riportato l’imprenditrice Aferdite Shani, ritiene che l’origine straniera sia un vero e proprio ostacolo nel mercato del lavoro. Tuttavia, vi è comunque chi, anche a partire dalla sua esperienza, ha trovato un vantaggio nella propria origine straniera utilizzando come strumento quello che spesso è considerata una barriera: la lingua. Per l’avvocato Yohan K. D.D. Saparamadu, del CoNNGI, le sue origini cingalesi e la conoscenza dell’inglese e il cingalese gli hanno dato la possibilità di esercitare la sua professione rivolgendosi proprio alla comunità cingalese.
Tuttavia questo non è un caso così frequente, come emerge poi dal dibattito con il pubblico: molti giovani che non parlano come ulteriore lingua una lingua commerciale, non sempre hanno facile accesso al mercato del lavoro e, di conseguenza, all’ascensore sociale: il non conoscere l’italiano o non avere un accento riconducibile ad una inflessione tipicamente italiana è ancora fonte di discriminazione per molte persone e spesso solo iniziative singole di determinati imprenditori riportano questi fattori come invece un valore aggiunto al percorso professionale di una persona.
La necessità di un cambiamento culturale a tutto tondo
L’incontro organizzato da ISC mette in luce un dato di fatto: è necessario un cambiamento culturale strutturale che risignifichi la presenza degli italiani e le italiane di origine straniera, con o senza cittadinanza. Non è una semplice questione di legge e non si tratta solo di essere considerati dal punto di vista istituzionale, ma di essere visti in quanto parte integrante della società, come studenti e studentesse, intellettuali, lavoratori e personalità politiche, essere visti oltre ciò che viene riportato sui propri documenti e oltre il proprio colore di pelle.
Su questo la sfida rilanciata da Italiani Senza Cittadinanza, costituitasi associazione, risulta ambiziosa, ma non è più possibile tirarsi indietro.
E’ ancora presente in vari ambiti un approccio razzializzante ed escludente; è necessario ripartire da una discussione su questo per riuscire a ridare pieno significato a ciò che vuol dire cittadinanza e all’essere cittadini e cittadine.
[Foto dell’evento dall’archivio di Lunaria]