Perchè il volontariato internazionale non funziona (nel modo in cui pensi)
CCIVS è il network globale delle organizzazioni che promuovono il volontariato internazionale e i workcamps. Da diversi anni lavora ad analizzare l’impatto dei workcamps nelle comunità e nei volontari. E’ stato appena pubblicato il primo rapporto globale (scarica qui), introdotto da alcune note del Prof. Francesco Volpini, per tanti anni prima volontario (partito con Lunaria!) poi dirigente di Concordia France e CCIVS, per poi dedicarsi alla ricerca. Ecco le sue note introduttive, buona lettura!
The biggest unknown network in the world
Francesco Volpini
Ryukoku University, Kyoto | Former CCIVS Director
Il Servizio Volontario Internazionale (IVS) ha celebrato nel 2020 il 100° anniversario dal primo campo di ricostruzione a Esne-en-Argonne, vicino a Verdun, all’indomani della Prima Guerra Mondiale, quando i volontari si riunirono per ricostruire la città con l’idea esplicita che fare volontariato insieme sarebbe diventato un efficace strumento di lavoro per la pace e che, come le Nazioni Unite avrebbero riconosciuto in seguito, “poiché la guerra inizia nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace” (UNESCO, 1945).
Ogni anno si svolgono oltre 3.000 progetti di gruppo a breve termine, che riuniscono 40.000 partecipanti provenienti da oltre 90 Paesi e contesti culturali diversi per sostenere le comunità locali, con l’obiettivo di catalizzare il cambiamento all’interno degli individui e della società, contribuendo ad abbattere pregiudizi e stereotipi e promuovendo la pace, la sostenibilità e l’inclusione sociale attraverso la collaborazione al servizio di bisogni e obiettivi di interesse pubblico (CCIVS, 2012).
Della durata di due o tre settimane, i campi di lavoro consistono in un gruppo di 10-20 volontari provenienti da Paesi diversi – idealmente mai più di due dalla stessa origine per facilitare l’interazione – che lavorano con comunità spesso in aree remote o emarginate con un’esposizione minima e talvolta conflittuale a culture diverse (Alliance, 2012). I progetti sono organizzati direttamente dalle organizzazioni locali o nazionali dei Paesi ospitanti, mentre i partenariati con le organizzazioni internazionali consentono di ricevere e inviare volontari internazionali nel rispetto del principio di reciprocità degli scambi: la cooperazione non è vista come un processo lineare che richiede le competenze dei Paesi economicamente sviluppati verso le comunità povere, ma piuttosto come uno scambio in cui il movimento dei volontari non è limitato al “Nord-Sud” istituzionale, ma è multilaterale e multidirezionale.
Le organizzazioni di campi di lavoro non sono di natura umanitaria, ma promuovono lo sviluppo sostenibile e l’educazione attraverso la partecipazione dei cittadini (Concordia, 2020).
In questo senso, aderiscono ai principi e all’approccio critico della pedagogia degli oppressi (Freire, 1970), lavorando con comunità attive e minoranze nella lotta contro l’esclusione nelle aree rurali e urbane, nel “sud globale” come nel “nord globale” del mondo. Impegnati a fondo nei movimenti di decolonizzazione degli anni Cinquanta e Sessanta, i campi di lavoro sono stati fondamentali per costruire ponti tra Occidente e Oriente durante la Guerra Fredda e con la caduta della Cortina di Ferro, e più recentemente, si sono concentrati sulla riorganizzazione delle dinamiche di potere globalizzate e sulla promozione della libertà di movimento, della giustizia sociale e climatica “oltre i confini”. (CCIVS, 2009, 2019).
Attraverso un’azione collettiva, concreta e critica che è allo stesso tempo locale e globale, questi progetti influenzano positivamente e innescano nuove dinamiche nei contesti sociali, culturali ed economici molto diversi in cui intervengono, basandosi sulla metodologia dell’educazione non formale (Coombs & Ahmed, 1974) e sull’apprendimento esperienziale (Kolb, 1984).
Promuovendo un approccio altamente partecipativo, il volontariato internazionale di gruppo stimola e dà visibilità alla società civile come soggetto politico capace di innovare, in particolare attraverso il confronto costruttivo di culture diverse all’interno di micro-comunità sperimentali e ad alta intensità di tempo, nuovi percorsi di relazione sociale ed economica, di conoscenza e di partecipazione attiva alla vita delle nostre società.
Rappresentano esplicitamente un tentativo di promuovere l’apprendimento attraverso il fare e di usare il volontariato come strumento di convivialità, invertendo il “declino della capacità individuale di fare o di agire” (Illich, 1978) e di utilizzare il volontariato come mezzo di riappropriazione (Bourdieu, 1990) dei risultati del proprio lavoro.
Il lavoro stesso non è quindi valutato in termini economici, ma come un contributo volontario significativo e uno strumento di apprendimento che rappresenta il fondamento di relazioni sociali durature, basate sulla comprensione condivisa delle differenze culturali e su obiettivi comuni e cooperativi che trascendono l’interesse individuale e trasformano il concetto stesso di identità (Allport, 1954).
In breve: i campi di lavoro internazionali sono straordinari. Unici. Costantemente rivoluzionari.
Ma nessuno lo sa.
Durante le consultazioni del 2010 per il primo Rapporto sullo Stato del Volontariato Mondiale (SWVR) che si stava preparando in occasione delle celebrazioni per l’Anno Internazionale dei Volontari delle Nazioni Unite +10, mi sono trovato nella posizione un po’ surreale di pensare costantemente a Berkeley: “gli oggetti di senso esistono solo quando sono percepiti; gli alberi quindi sono in giardino… non più di quanto ci sia qualcuno che li percepisca”; se nessuno nella sala riunioni aveva la minima percezione di cosa fossero i campi di lavoro, esistevano davvero? Cos’altro potevamo portare al tavolo dei ricercatori , delle agenzie intergovernative, degli esperti di economia e filantropia – che sembravano tutti sapere cosa fosse il volontariato basandosi su solide basi scientifiche – se non il resoconto di pratiche ed esperienze apparentemente effimere?
Inutile dire che i campi di lavoro internazionali e il servizio volontario praticato dalle organizzazioni associate e partner del CCIVS non compaiono nel primo SWVR. La cosa più vicina è stata quando il report ha insinuato un dubbio – confondendo realtà molto diverse e spesso inconciliabili – sulle pratiche di breve termine: “Sebbene il volontariato internazionale non sia nuovo, si è manifestato in nuove forme e ha assunto nuove dimensioni in un’epoca di globalizzazione. Il ‘volunturismo’ o il volontariato degli studenti in ‘gap-year’, spesso intrapreso per brevi periodi, sono nuove manifestazioni e il loro impatto è discutibile”.
Da allora abbiamo preso più seriamente la questione della dimostrazione dell’impatto, anche grazie al lavoro di persone che erano effettivamente presenti in quella sala di consultazione e hanno fornito il loro sostegno. L’ex direttrice del CCIVS, la dott.ssa Simona Costanzo Sow, che ha aperto la strada ai primi studi sull’impatto del CCIVS, condotti dai volontari stessi negli anni 2000 e ha firmato l’articolo accademico più citato, se non l’unico, che include i campi di lavoro tra le forme e le strutture rilevanti del Servizio Volontario Internazionale (Sherraden et al., 2006). E il Prof. Benjamin Lough dell’Università dell’Illinois, che si è ritrovato a dover gestire le crescenti richieste di consulenza da parte del CCIVS e di molte delle sue organizzazioni affiliate (e del sottoscritto) e che sembra aver trovato l’esperienza di lavorare con noi, se non proprio accademicamente rivoluzionaria, almeno decisamente divertente.
Il report è un riassunto del processo e dei risultati della ricerca messi in atto da CCIVS e dalle organizzazioni che ne fanno parte negli ultimi anni, dal progetto Impact del 2013 e la prima collaborazione ufficiale con le università, ai dati innovativi della Conferenza internazionale del 2014 organizzata da IWO in Corea e al programma “Changing Perspectives II” coordinato da Solidarités Jeunesses France nel 2015; fino alla valutazione dei programmi tematici sull’inclusione sociale, l’educazione ai diritti umani, la giustizia climatica e il patrimonio culturale delle campagne CCIVS tra il 2017 e il 2020.
I due progetti STEP, e la facilitazione messa in atto dagli “Artigiani del Cambiamento” che li hanno coordinati con l’incredibile supporto costante del Segretariato e del Comitato Esecutivo di CCIVS, sono i momenti di svolta che hanno permesso a questi sforzi di diventare veramente collettivi, collegando le comunità di tutto il mondo e facendo sì che i risultati presentati in questo rapporto siano il frutto e l’appropriazione delle menti e delle mani capaci di centinaia di persone del movimento del volontariato internazionale.