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Cittadinanza: quell’Italia che ha paura dei diritti

19/09/2017

ius-soli-cittadinanzaCondannata a vita al limbo, senza una patria che ami e che si prenda cura di me. Troppe pugnalate, e questo è il colpo di grazia. Il “colpo di grazia” è la mancata calendarizzazione in Senato della riforma della legge di cittadinanza. Le parole sono quelle scritte su Twitter da Ilham Mounssif. Di lei e della sua storia abbiamo parlato nel focus Ancora ospiti, ma sono cittadini, uscito nel giugno scorso, in cui abbiamo ripercorso l’iter della mancata riforma e descritto alcune storie di quotidiana discriminazione. Come Ilham, moltissime altre persone aspettano di essere riconosciute come cittadine. Già perché, al netto di tutte le strumentalizzazioni politiche, a quale altro paese dovrebbe appartenere chi nasce in Italia, o ci arriva da piccolo?

La legge odierna lega queste persone alla nazionalità dei genitori, anche se spesso i figli hanno conosciuto, nella propria vita, solo l’Italia. Da anni, queste persone aspettano una riforma della legge, invocata anche da molti italiani e italiane: più di 200mila, ossia quelli che tra il settembre 2011 e il marzo 2012 hanno firmato a favore della proposta di legge di iniziativa popolare lanciata dalla campagna “L’Italia sono anch’io”. Un consenso riportato anche dall’Osservatorio europeo sulla sicurezza curato da Demos: nel 2014 circa l’80% degli italiani si diceva d’accordo con la riforma. Ma il dato passa al 70% nel 2016, per arrivare al 57% lo scorso giugno. Sono cifre che palesano il sopravvento della paura, spesso indotta dalle strumentalizzazioni politiche, come abbiamo sottolineato recentemente analizzando il dibattito mediatico. Presentando i dati, Ilvo Diamanti su La Repubblica parla di “paure della politica, che invece di governare la società la inseguono”.
E’ in effetti per calcolo politico che la discussione sulla riforma slitta da anni in secondo – o sarebbe meglio dire ultimo – piano. L’ultima volta l’altro ieri, quando al termine della Conferenza dei Capigruppo di Palazzo Madama convocata per decidere proprio il calendario dei lavori dell’Assemblea, si è scoperto che la discussione della riforma non è nell’agenda di settembre. Il problema, secondo il presidente dei Senatori del Pd Luigi Zanda, è la mancanza di una maggioranza: “Noi vogliamo approvare questa norma, che resta per noi un obiettivo, ma serve una maggioranza che ora al Senato non c’è”. Ma dal suo stesso partito arrivano parole molto diverse: il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio – primo portavoce della campagna l’Italia sono anch’io quando era sindaco di Reggio Emilia – commenta la mancata calendarizzazione come “atto di paura grave. Abbiamo bisogno di non farci dominare dalla paura”, aggiunge Delrio, parlando di “legge di civiltà e diritti”.

Di fatto, quella che si continua a portare avanti, evitando la discussione sulla riforma, è una discriminazione di stato, che si compie sulla pelle di circa 1 milione di persone. Chissà se ci sarebbe la stessa (scarsa) attenzione alla tematica se queste persone potessero votare…

E’ l’ennesima volta che la politica perde l’occasione di fare un passo in avanti in una battaglia che ci riguarda tutti. Non sono infatti ‘solo’ i diretti interessati a essere coinvolti – che comunque sono più di 800.000 persone. Questa è una riforma che riguarda tutte e tutti noi e l’idea che abbiamo del nostro paese, come evidenziato anche oggi dalla Presidente della Camera Laura Boldrini, la quale parlando della riforma sulla cittadinanza ha affermato: “Penso sia molto atteso da molti giovani che sono nati in Italia, che sono a tutti gli effetti italiani. Credo sia conveniente per tutti farne dei buoni cittadini”.

Pierluigi Bersani di Articolo 1 – Mdp, facendo riferimento alla strumentalizzazione politica alla base della decisione, parla di “errore drammatico che può avere conseguenze molto serie nel futuro di questo paese. Ci troveremo nella condizione di dire a un bimbo di 10 anni, figlio di immigrati regolari, che non è cittadino italiano perché ci sono i barconi e gli stupri. Non so cosa possa pensare quel bambino negli anni successivi. Noi oggi mettiamo questo bambino di fronte ad un’ingiustizia sferzante e inaccettabile, con le conseguenze del caso“.
Bersani parla di conseguenze. E in effetti dovremmo pensare, noi cittadini italiani riconosciuti come tali, che tipo di società stiamo costruendo.Un’Italia in cui a un bambino che non ha visto altro paese possa essere negato il diritto di andare in gita con i compagni di classe, o di partecipare a un torneo sportivo? Un’Italia in cui quasi 1 milione di cittadini non possono votare, né partecipare a un concorso pubblico? Un’Italia di fatto ostaggio delle paure, e terreno di discriminazioni? Povera Italia.

Il Senato è ancora in tempo a ripensarci.

19/09/2017

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