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Advocacy? La parola chiave è partecipazione!

30/07/2021

12 Ottobre 2021

Il primo aggiornamento sul progetto BABI conferma le aspettative: nella partecipazione, diretta o indiretta, di migranti, richiedenti asilo e rifugiati risiede l’efficacia di un percorso di advocacy potenzialmente dirompente.

BABI partecipazione è parola chiave

C’è una stretta connessione tra la diffusione delle discriminazioni xenofobe e razziste, la capacità dei decisori pubblici di progettare politiche di “inclusione” efficaci e il livello di partecipazione diretta e proattiva di migranti, rifugiati e persone con un passato di migrazione, nella progettazione e attuazione di queste politiche.
La partecipazione diretta alla definizione delle politiche istituzionali di inclusione sociale e la capacità di rappresentare istanze – tanto a livello locale, che europeo – può rappresentare un elemento di discontinuità che riporti al centro delle politiche pubbliche la coesione sociale, i diritti di cittadinanza e la solidarietà.

Con queste premesse e su questa visione condivisa è cominciato, lo scorso novembre, il nuovo progetto europeo B.A.B.I. Better Advocacy for Better Inclusion, promosso dal programma Erasmus+, che vede coinvolte 4 associazioni di altrettanti Paesi europei: Lunaria dall’Italia, Antigone dalla Grecia, SOS Racisme dalla Spagna e SOS Malta.
L’obiettivo sarà quello di promuovere la partecipazione di organizzazioni della società civile, di associazioni di migranti, rifugiati e cittadini di origine straniera e di sviluppare le capacità degli attivisti di origine straniera e nativi di orientare le politiche pubbliche di inclusione sociale, grazie all’ideazione di strumenti di formazione e di empowerment, che verranno realizzati nel corso del progetto.
Verranno creati e sperimentati in modo partecipativo metodologie e strumenti di formazione innovativi che possano rafforzare le conoscenze e le competenze degli operatori sociali e degli attivisti antirazzisti utili per fare pressione sulle istituzioni, per orientare le politiche pubbliche per i diritti, contro le discriminazioni.

La prima fase del progetto ha visto le associazioni coinvolte in una proficua attività di ricerca sulle strategie e le azioni di advocacy sperimentate sia a livello locale che nazionale dalle associazioni di migranti, rifugiati e cittadini di origine straniera, che si è conclusa proprio in questi giorni e alla quale seguirà la pubblicazione di 4 rapporti nazionali, che saranno disponibili online dal mese di Settembre. Un Manuale sul ciclo di advocacy, contenente 16 case studies di successo raccolti in questi mesi; una ricerca sugli indicatori di inclusione sociale e la progettazione di un modulo di formazione sul tema dell’advocacy, che sarà sperimentato in un corso di formazione internazionale rivolto a 25 attivisti; la pubblicazione del Tool-kit finale Better Advocacy for Better inclusion, la realizzazione di un evento internazionale e di quattro incontri nazionali di presentazione dei risultati del progetto sono le attività previste nei prossimi mesi.

La ricerca in corso: alcuni spunti di riflessione

La ricerca sta evidenziando come il concetto di advocacy sia poco riconosciuto e diffuso tra i gruppi informali organizzati di migranti e rifugiati e poco applicato nel complesso del mondo antirazzista nonostante vi siano molte campagne e iniziative promosse a livello nazionale e locale con l’obiettivo di cambiare le scelte dei decisori politici. Emerge una molteplicità di strategie e di priorità sociali legate alle specificità dei paesi coinvolti nel progetto.

In Italia, anche se un approccio strategico all’advocacy non è ancora ben radicato, le interviste svolte mostrano un mondo molto dinamico che persegue il cambiamento sociale e la garanzia dei diritti delle persone, adottando strategie e metodologie di intervento molto diverse, scelte tenendo conto dei bisogni sociali emergenti, della propria missione sociale e del contesto politico e sociale esterno. Le iniziative specifiche puntano o ad orientare direttamente le scelte dei decisori politici, o a provocare in modo indiretto riforme legislative, attraverso azioni legali strategiche.

La situazione appare consolidata in Spagna, dove la maggior parte degli attivisti intervistati e dei movimenti guidati da migranti o da persone razzializzate, sono coscienti della necessità di fare advocacy per poter promuovere la trasformazione sociale da una prospettiva antirazzista, e per questo hanno una propria strategia determinata, legata all’agenda politica e con diversi livelli di azione e attività.

Anche in Grecia risultano gruppi che esercitano un’attività di advocacy tradizionale che interviene a livello politico e legale su diversa scala (dal nazionale al locale) che ha portato all’istituzione di una rete trasversale informale di advocacy delle ONG greche: Advocacy Working Group. Tuttavia esistono anche gruppi i cui interventi, nonostante costituiscano di fatto delle vere e proprie azioni di advocacy, non vengono indicate dai gruppi stessi come tali.

Nel quadro generale dei quattro Paesi, il concetto di advocacy che più risulta acerbo è a Malta, paese che porta ancora i segni del post-colonialismo nella sua struttura educativa, legale e civile, che si ripercuote anche nell’incapacità di comunicare con la società civile, le associazioni e i sindacati che stanno lavorando con i migranti.

Le priorità identificate e verso cui i gruppi intervistati indirizzano le proprie attività di advocacy sembrano invece essere condivise dai quattro Paesi del Mediterrano. I temi principali su cui si concentrano le realtà sociali intervistate sono la lotta al razzismo istituzionale, allo sfruttamento lavorativo, la riforma delle leggi che disciplinano l’immigrazione e la cittadinanza, la garanzia della parità di accesso al welfare, il contrasto all’ethnical/racial profiling e la garanzia del diritto di asilo. 

Leggi di più su B.A.B.I.
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